Il 25 marzo 2025, il World Shipping Council - che rappresenta oltre il 90% della capacità mondiale di trasporto marittimo in container - ha espresso una ferma opposizione alla proposta dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (Ustr) d’introdurre pesanti tasse retroattive sui porti per le navi costruite in Cina. L’iniziativa dell’Ustr – parte di una strategia più ampia per rilanciare la cantieristica e il trasporto marittimo nazionale – intende scoraggiare la dipendenza da navi costruite all’estero. Tuttavia, secondo il Wsc, questa misura rischia di portare effetti opposti: aumento dei costi, inefficienze logistiche e un impatto economico negativo a catena, in particolare per gli esportatori agricoli.
La proposta prevede un prelievo fino a 1,5 milioni di dollari per ogni scalo effettuato da una nave costruita in Cina, e fino a un milione per qualsiasi nave (anche non costruita in Cina) appartenente a operatori con navi cinesi nella flotta o in ordine. Inoltre, l’Ustr propone di limitare il trasporto di esportazioni statunitensi a un numero molto ristretto di navi battenti bandiera o costruite negli Stati Uniti.
Per il direttore generale del Wsc, Joe Kramek, queste misure, se attuate, non solo non modificheranno le politiche cinesi, ma “genereranno congestione nei porti maggiori e ridurranno i servizi nei porti minori, poiché gli operatori cercheranno di minimizzare il numero di scali negli Stati Uniti”. Egli porta un esempio concreto: una nave portacontainer media da 6.600 teu, attualmente impegnata su una rotta con sei scali statunitensi, vedrebbe i costi aumentare a tal punto da raddoppiare le tariffe complessive di trasporto tra New York e Rotterdam. Una prospettiva che potrebbe mettere fuori mercato numerose esportazioni statunitensi, specialmente quelle più sensibili al prezzo.
Il Wsc sottolinea come le ricadute economiche si farebbero sentire lungo tutta la catena del valore: aziende, consumatori e soprattutto agricoltori, già esposti a mercati internazionali altamente competitivi. I prodotti agricoli statunitensi, in particolare, soffrirebbero di una perdita di competitività che potrebbe tradursi in cali di esportazione e perdita di posti di lavoro nelle zone rurali.
Pur condividendo l’obiettivo strategico di rafforzare il settore marittimo nazionale, il Wsc mette in guardia dai limiti concreti della proposta. Secondo Kramek, i cantieri statunitensi sono già fortemente impegnati con ordini militari e soffrono di una cronica carenza di manodopera specializzata. Anche la disponibilità di marittimi certificati per l’eventuale re-immatricolazione di navi estere è insufficiente. In questo contesto, la capacità di costruire nuove navi o gestire un rientro massiccio sotto bandiera americana risulta, al momento, fortemente limitata.
Oltre agli aspetti economici e logistici, il Wsc solleva anche dubbi sulla legittimità della misura. Secondo Kramek, le tasse proposte “sembrano andare ben oltre ciò che la legge autorizza”. In particolare, la Sezione 301 del Trade Act del 1974 consente interventi solo se finalizzati alla modifica di atti o pratiche straniere ritenute sleali. Non può essere usata per generare entrate o per favorire indirettamente l’industria nazionale. La posizione del Wsc è chiara: “L’Amministrazione dovrebbe collaborare con il Congresso per sviluppare una strategia lungimirante e costruttiva, capace di rilanciare davvero l’industria marittima americana”. Le competenze per farlo ci sono, assicura Kramek, e gli operatori del settore sono pronti a contribuire con la loro esperienza.